Onorevoli Colleghi! - Mentre cresce nella coscienza sociale la richiesta di certezza della pena in relazione a reati che colpiscono particolarmente la sensibilità collettiva, è, altresì, sempre più presente la convinzione che una certa «ipertrofia» del sistema penale colpisca anche condotte che potrebbero essere punite con sanzioni diverse da quelle penali, o che le punisca in maniera eccessiva.
      Il dibattito sull'indulto mette ancor più in evidenza la necessità di interventi normativi volti, da una parte, all'abrogazione di disposizioni che determinano un'ingiustificata punizione, con più gravi sanzioni detentive, di comportamenti per i quali essa non è necessaria; dall'altra, ad evitare più che si può la pena detentiva.
      Una revisione del sistema penale, dalle norme incriminatrici all'aspetto sanzionatorio, è ormai indifferibile. Ma si è anche consapevoli dei tempi non immediati che essa richiede. E invece è urgente dare il segno, magari limitato ed incompiuto anche per la tempistica estremamente rapida che è imposta alla redazione della presente proposta di legge, della volontà di cominciare contemporaneamente ad operare

 

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su un piano organico che restituisca legalità all'azione dello Stato.
      Per queste ragioni la presente proposta di legge si limita ad operare, da una parte, sviluppando e ampliando istituti e princìpi giuridici già conosciuti in altri sistemi penali, a cominciare da quello minorile, proprio per evitare di fare anticipazioni di riforme che devono più organicamente essere approntate; da un'altra parte, eliminando dal nostro sistema disposizioni incriminatrici che non hanno dato buona prova o che potrebbero produrre effetti moltiplicatori della detenzione.
      Ciò consegue non a una volontà distruttiva di tutto quanto in precedenza è stato fatto, ma a una rigorosa analisi degli effetti, attuali e probabili, di alcune disposizioni a maggiore valenza inflattiva del carcere.
      Con l'articolo 1 della presente proposta di legge si amplia la previsione contenuta dapprima nell'articolo 27 dell'ordinamento penale minorile, poi nell'articolo 34 del decreto legislativo n. 274 del 2000, istitutivo della competenza penale del giudice di pace.
      La figura della «diversion», cioè dell'espulsione precoce dal sistema penale di fatti di non rilevante gravità, è conosciuta in numerosi ordinamenti giuridici di altri Stati, per lo più connotati dalla non obbligatorietà dell'esercizio dell'azione penale. In taluni casi è la stessa polizia che può non denunciare; in altri è il pubblico ministero che può direttamente evitare di procedere.
      Nel nostro ordinamento giuridico, caratterizzato dall'obbligatorietà dell'esercizio dell'azione penale, occorreva trovare forme di espulsione dal circuito penale di reati di non rilevante gravità compatibili con quel vincolo costituzionale, in modo tale che l'improcedibilità venisse dichiarata nel corso di un procedimento giudiziario formale, cioè verificata da un organo giudicante. In tale modo, la verifica si è incentrata sull'offensività in concreto: la norma incriminatrice resta in vigore; l'obbligo di procedere per le violazioni alla stessa, anche: solo che l'ordinamento giuridico ritiene antieconomico per lo Stato e per l'imputato, considerato il notevole costo economico e psicologico del processo, proseguire nel procedimento formale in presenza della scarsa concreta offensività del fatto.
      La previsione dell'improcedibilità per tenuità del fatto è già ripetutamente passata indenne al vaglio della Corte costituzionale, che non vi ha visto alcuna lesione di princìpi costituzionali. Si è ritenuto, perciò, opportuno estenderne l'applicabilità ad altre tipologie di reato, fermo restando che ogni volta si deve rigorosamente verificare la concreta offensività del fatto.
      La previsione della possibilità di applicare la misura in ogni stato e grado del giudizio consegue alle pronunce della Corte costituzionale, che ne ha dichiarato la natura sostanziale, e non meramente processuale, legata alla fase precoce del processo.
      Con l'articolo 2 si opera l'estensione della previsione di estinzione del reato per attività riparatoria, già presente nell'articolo 35 del citato decreto legislativo n. 274 del 2000 sulla competenza penale del giudice di pace. La riparazione può consistere o nel risarcimento del danno o in altre forme di riparazione, che possono scaturire anche da un'attività di mediazione sollecitata o governata dai servizi sociali.
      Con l'articolo 3 si prevede la possibilità di applicare la messa alla prova, già prevista e applicata nel processo minorile, anche agli imputati adulti. Questa misura ha dato risultati confortanti nel processo minorile, nel quale l'estinzione del processo per esito positivo della prova viene pronunciata in circa il 75 per cento dei casi in cui la prova viene disposta, con conseguenze importanti in ordine alla drastica riduzione della recidiva nei soggetti che hanno affrontato positivamente la prova. La motivazione di ciò viene vista nell'effetto di rinforzo sull'identità sociale che il superamento della prova induce.
      È stata prevista una limitazione per titolo di reato (mentre nel processo minorile essa può essere disposta per tutti i reati) e per durata, considerandosi applicabili le disposizioni del processo minorile in quanto compatibili. La misura favorisce una rilevante deflazione penitenziaria, in quanto tende a evitare la condanna e la carcerazione attraverso un modo diverso
 

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di riaffermazione delle regole giuridiche che governano la società, interno al processo e tendenzialmente senza una fase esecutiva penitenziaria, se non in caso di esito negativo della prova, caso nel quale il processo riprende con la stessa possibilità di esiti esistente prima della prova. Questa, infatti, non costituisce pena anticipata e non può essere computata come pena espiata in caso di esecuzione penale della eventuale sentenza di condanna.
      Con l'articolo 4 si prevedono riduzioni di pena, applicabili facoltativamente, per la categoria dei cosiddetti «giovani adulti», ai quali da tempo orientamenti di diverse sedi sopranazionali raccomandano di riservare una specifica attenzione. Non è difficile riscontrare nelle attuali società occidentali un allungamento dei cosiddetti «tempi di latenza», con processi di socializzazione e di costruzione dell'identità sociale non sempre facili, che alcuni studiosi definiscono «adolescenza lunga». Una riduzione di pena a cagione dell'età è già conosciuta per i soggetti minorenni, ed è obbligatoria; secondo la presente proposta di legge, invece, ai giovani adulti essa si applicherebbe facoltativamente, in misura ridotta e in presenza di determinate condizioni. Peraltro, nel nostro ordinamento giuridico, a parte la condizione minorile, il riconoscimento di specifici trattamenti per particolari classi di età, ad esempio, per le persone anziane, non è nuovo. In definitiva, quindi, non sarebbe dato di riscontrare alcuna lesione del principio costituzionale di uguaglianza, che ammette ragionati casi di discriminazione positive per situazioni diverse.
      L'articolo 5 abroga le disposizioni della legge cosiddetta legge «ex Cirielli» (legge n. 251 del 2005), in materia di recidiva, che crea un meccanismo moltiplicatore di condanna, prevalentemente nei confronti di soggetti più fragili sotto il profilo della reiterazione criminosa di condotte magari di scarso rilievo criminale, tale da rendere più lunga la permanenza in carcere solo per ragioni personali, cioè senza che ad essa corrisponda l'aumento di infrazioni penali o della loro gravità. Si prevede, quindi, il ripristino della situazione vigente prima dell'entrata in vigore della legge n. 251 del 2005, con la previsione che le condanne definitive nel frattempo irrogate, le cui pene risultino aumentate in conseguenza della nuova normativa che oggi si abroga, siano corrispondentemente ridotte dal giudice dell'esecuzione.
      La disposizione rappresenta una esplicitazione del principio della retroattività della legge penale più favorevole, che è riprodotta anche nelle successive previsioni normative contenute negli articoli 6 e 7.
      L'articolo 6 prevede il medesimo procedimento di cui al precedente articolo con riferimento al complessivo e non giustificato aggravamento delle fattispecie criminose connesse con la tossicodipendenza, introdotte dal decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2006, n. 49. Si è ritenuto necessario, diversamente dai casi di altri provvedimenti normativi su cui pure si incide con la presente proposta di legge, riportare completamente la situazione a quella preesistente, onde si possa, qualora il Parlamento decidesse di riprendere in esame complessivamente la normativa sugli stupefacenti, procedere con quella calma, organicità e coinvolgimento di tutte le forze politiche che sono mancati in occasione dell'approvazione del provvedimento che si vuole abrogare, avvenuta, invece, in tutta fretta al termine della precedente legislatura.
      D'altra parte, l'intreccio tra le disposizioni è tale che sarebbe difficile separare le disposizioni con maggiore capacità di inflazione penitenziaria dalle altre. La portata deflattiva sul sistema carcerario conseguente al ripristino della legislazione previgente, pur essendo trascorso ancora poco tempo dalla sua entrata in vigore, è intuibile se appena si consideri che la modifica riguardante l'accorpamento di sostanze stupefacenti in un'unica tabella comporterebbe assai più gravi sanzioni per le condotte prima punite meno severamente, in relazione alla diversa pregressa composizione tabellare che teneva separate le droghe cosiddette «leggere» e puniva meno severamente i reati a queste connessi.
 

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      L'articolo 7 opera nella medesima direzione per quanto concerne le previsioni più restrittive introdotte in materia di immigrazione da alcune disposizioni del decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 novembre 2004, n. 271.
      In entrambi i casi previsti negli articoli 6 e 7 della presente proposta di legge si sono già risentiti effetti negativi sull'aumento della popolazione carceraria, considerato che solo nel 2005, secondo notizie fornite dall'Amministrazione penitenziaria, per i titoli contemplati nell'articolo 7 sono entrate nel carcere 9.619 persone, per molte delle quali oggi si deve prevedere l'indulto.
      Nessuna delle disposizioni introdotte con la presente proposta di legge deprime la difesa sociale.
      Nei casi di cui agli articoli da 1 a 3, perché l'infrazione penale è bilanciata, sotto oculata decisione e vigilanza, da una condotta proporzionalmente compensativa o da una intrinseca carenza di offensività. Le disposizioni ivi previste andranno a incidere prevalentemente sui fatti di più scarso impatto sociale e non altrimenti eliminabili dal circuito sanzionatorio, a differenza che in altri sistemi penali, ricadenti tra i reati contro il patrimonio, che rappresentano circa il 30 per cento dei titoli di reato riguardanti l'esecuzione penale.
      Per quello che riguarda l'articolo 4, perché la diminuzione è facoltativa e connessa con la previsione di una migliore risocializzazione, andando a incidere su una popolazione penitenziaria entro i venticinque anni di età, che riguarda circa il 20 per cento dei soggetti ristretti in carcere.
      Per quanto concerne gli articoli da 5 a 7, o perché la maggiore severità sanzionatoria non è giustificata dall'aumento del numero di reati commessi o della gravità di quelli ascritti: e quando il più severo regime della recidiva sarà entrato pienamente a regime esso esplicherà effetti micidiali sull'inflazione carceraria; o perché altre sanzioni anche precedentemente previste, quali quelle amministrative o quelle meno gravi dell'arresto, sono ritenute idonee a garantire il medesimo risultati con minori costi personali o strutturali, quali quelli connessi al sovraffollamento carcerario.
      Naturalmente, la presente proposta di legge rappresenta uno stimolo a intervenire sulla problematica in oggetto ed è aperta ai contributi che si muovano nella stessa direzione.
 

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